Omaggio a Beppe Rinaldi

DI ANTONIO GALLONI | 6 SETTEMBRE 2018

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"Il Barolo deve essere un vino austero, potente, senza frutta", mi diceva spesso Beppe Rinaldi. Nelle sue mani, i vini erano spesso così. Ma parlare del vino è quasi superfluo quando si guarda indietro alla vita straordinaria dell'uomo che fu innanzi tutto un'icona culturale ed intellettuale, ed un produttore di vino solamente in secondo luogo. Purtroppo, Rinaldi ha perso la sua battaglia con la malattia pochi giorni prima del suo settantesimo compleanno. Lascia un retaggio ricco e sfaccettato che vivrà per sempre sotto la guida di sua moglie, Annalisa, e le figlie Marta e Carlotta.


Beppe Rinaldi nella sua cantina

Beppe Rinaldi, amichevolmente chiamato "Citrico" per il suo senso d’umore acerbo, è nato il 17 settembre 1948. Con la sua laurea in veterinaria, Rinaldi rilevò la tenuta di famiglia solamente con la scomparsa di suo padre, Battista, nel 1992. Rinaldi sostenne tutti i principi della scuola tradizionale del Barolo, tra cui spicca la ferma convinzione che il Barolo debba essere prodotto con uve assemblate da più vigneti, una visione condivisa dal cugino Bartolo Mascarello. Fu anche un fervente critico di ciò che considerava un'espansione eccessiva nella regione del Barolo, sia quando si trattava di progetti che non pensava fossero rispettosi dell'atmosfera bucolica delle colline delle Langhe, come l'Hotel Boscareto (che ha definito un ‘eco-mostro') che l'aumento degli ettari piantabili per il Nebbiolo da Barolo. Rinaldi parlava candidamente sia di problemi politici che sociali, una ventata d’aria fresca in questo mondo d’oggi fatto di eccessivo “political correctness”. 

Il Piemonte era un posto molto diverso quando ho iniziato a visitarlo alla fine degli anni '90. Rinaldi, come tanti altri produttori tradizionali, era completamente fuori dall’attenzione sia della stampa che dei consumatori, con l'eccezione di una manciata di appassionati che cercavano i suoi vini. All'epoca, Rinaldi aveva in vendita 5-6 diverse annate, così come praticamente tutte le altre aziende. Potevi comprare tutto il vino che volevi. Il prezzo? Troppo poco. Rinaldi era quasi in imbarazzo a prendere i soldi. Una delle ragioni per cui ho iniziato a scrivere sul vino è perché, in quel momento, c'erano ben poche informazioni disponibili su Rinaldi e altri produttori tradizionali, tra cui tanti nomi che oggi sono tra i più ambiti non solo in Piemonte o in Italia, ma in tutto il mondo. Abbastanza presto, il fascino di questi vini e delle famiglie che li hanno fatti è diventato un'ossessione. 


Non è cambiato molto negli anni presso la cantina Rinaldi 

Mi ci sono volute alcune visite alla cantina per capire l'essenza di ciò che stavo vivendo. La mente di Rinaldi sembrava sempre correre con diversi pensieri. Poteva passare un'ora o più prima d’iniziare ad assaggiare vino. All'inizio pensavo che le divagazioni di Rinaldi erano fonte di distrazione. Dopotutto, ero lì per assaggiare i vini e avevo un fitto programma di appuntamenti. Non mi ci è voluto molto per riconoscere gli errori nei miei modi. Così iniziai a visitare Rinaldi diverse volte all'anno, spesso al di fuori del mio normale programma di assaggi. Volevo apprendere tutto quello che aveva da dire. Il mio periodo preferito di fargli visita era alla fine di Agosto, quando l’Italia rientra al lavoro dopo le ferie estive. Le donne di casa erano spesso ancora via e non c’erano altri visitatori. Quelli erano rari momenti di solitudine. 

Un anno Rinaldi ci portò a vedere le sue vigne. Sulla strada, ci fermammo a Cerequio, uno dei piccoli borghi che punteggiano il paesaggio piemontese. Rinaldi volle mostrarci il luogo in cui dei partigiani - il gruppo che combatté contro i fascisti - furono giustiziati il 29 agosto 1944. Molti dei morti erano giovani ancora in età adolescenziale. Una targa commemorativa delle loro vite è chiaramente visibile su una delle pareti di quello che oggi è l'hotel di lusso Palas Cerequio della famiglia Chiarlo. Più tardi quel giorno Rinaldi fece una breve sosta a casa di un amico per curare un cane malato. 


Una delle moto Lambretta restaurata con cura da Beppe Rinaldi

Forse a causa della sua apparenza un pò spettinata e del suo comportamento informale, si potrebbe pensare a Rinaldi come un contadino/vigneron che si prendeva cura delle sue vigne e produceva vini eccellenti. Sebbene Rinaldi incarni tutti i migliori valori della tradizione artigiana piemontese, bastano pochi minuti nel suo ufficio per realizzare che era anche un uomo di immensa cultura. Le pareti sono coperte di libri su una svariegata serie di soggetti. Quando si parlava di Barolo, Rinaldi era un ardente studioso di storia. Parlava spesso dell'eredità dei Marchesi Falletti e sembrava conoscesse a memoria ogni riga del famoso trattato di Fantini sulla viticoltura ed enologia. Una visita della casa di famiglia, inclusa la stanza in cui era nato, parlano di un’epoca ormai lontana della cultura Italiana. Interni e mobilia rustica della generazione dei genitori e nonni mostrano un passato semplice. Le mura sono adornate con disegni di Valentina, il famoso personaggio dei fumetti creato da Guido Crepax, uno degli amici più vicini a Rinaldi. Questo ambiente così ricco parla eloquentemente delle passioni di Rinaldi per le cose più basilari della vita ­– famiglia, amicizia, vino, cibo, piaceri intellettuali e carnali.

Oggi, si entra in cantina attraverso l’accesso dal basso a lato della casa, ma i visitatori che passeggiano nella vecchia reception al piano di sopra potrebbero notare una Lambretta scintillante e amorevolmente restaurata, che Rinaldi guidò fino in Sicilia. Oppure l'occhio potrebbe cadere sui cavatappi per il Barolo che Rinaldi aveva realizzato qualche anno fa, o sulla rinnovata macchina fotografica Leica degli anni '30 appartenuta a suo padre fotografo di guerra.

"Vorresti un bicchiere d'acqua?" mi chiese Rinaldi in un'altra visita recente. "Sai, l'acqua del Barolo ha il 2% di alcool," aggiunse in quella sua voce roca e rotta. Trascorsi parecchie ore quel pomeriggio con Rinaldi e sua moglie Annalisa, parlando di molti argomenti, nessuno dei quali ha nulla a che fare con il vino. Beppe Rinaldi ed io condividevamo un profondo amore per la lirica. Molti anni fa incontrai Magda Olivero, uno dei più importanti soprani del verismo del XX secolo nel salotto Rinaldi. Apparentemente era una cliente privata da molto tempo. Mi piaceva credere che forse bere il Barolo di Rinaldi fosse uno dei motivi per cui fu in grado di sostenere una carriera professionale fino ai novant’anni, molto tempo dopo che i cantanti andavano in pensione. Rinaldi mi chiese se sapevo chi erano Aureliano Pertile e Giovanni Martinelli. Certamente. Entrambi furono tra i principali tenori del XX secolo. Per coincidenza, entrambi nacquero a Montagnana, una piccola città del Veneto, nel giro di pochi giorni l'uno dall'altro nel 1885. Rinaldi insistì a darmi un doppio LP con entrambi i tenori, in fotografia qui di seguito. 


Un'iscrizione personale adorna il set di due LP con i tenori Giovanni Martinelli e Aureliano Pertile 

Terrò molti altri aneddoti vicino al mio cuore per sempre. Come la storia di Rinaldi che portò un libro ed una candela in una delle sue tine da 100 anni per dormire durante la torrida estate del 2003. Da allora la vasca è stata smontata, ma le storie rimangono. Un anno, finalmente potei acquistare alcuni bottiglioni, il formato grande da 1,9 litri, un tempo il prediletto in Piemonte. Le bottiglie erano senza etichetta. "Ecco ... il minimo che puoi fare è mettere le etichette e le capsule tu stesso", mi urlò Rinaldi, gettandoli nella mia direzione. "E riporta le bottiglie vuote, sono cimeli di famiglia", aggiunse con enfasi. Tipico Rinaldi. Marzia ed io fummo entusiasti quando Rinaldi accettò il nostro invito a partecipare alla prima Festa del Barolo nel 2011. Quando il microfono passò a lui durante la degustazione, la stanza cadde in silenzio. Avresti potuto sentire un ago cadere. Tutti i sommelier fermarono quello che stavano facendo ed il pubblico ascoltò rapito il resoconto di Rinaldi della sua prima visita a New York, girando la città in Vespa ed il racconto della sua filosofia sul vino e sulla vita. Fu veramente un momento magico. 


Beppe Rinaldi durante la prima Festa del Barolo

Nel 2013, quando  visitai in autunno i vini stavano travasando. Rinaldi chiese se volevamo assaggiare i mosti giovani. Certo, risposi. Un gruppo di giovani coppie, perfettamente vestite con il meglio della moda italiana, trasalì quando ci videro versare il vino non finito dai nostri bicchieri nelle vaschette di plastica dove i mosti venivano pompati nei tini. Non avevano sicuramente mai visto niente del genere! E poi c’è il ricordo dell’uso ideale che Rinaldi pensava di fare dei grandi martelli di legno usati per rimuovere i tappi che sigillano le botti…qualcosa che non si può scrivere. Ma la mia storia preferita risale a una visita molto prima, un anno sotto Natale. Ricordo che quel giorno acquistammo del Dolcetto, quello che potevo permettermi a causa dei miei debiti studenteschi. Rinaldi ci regalò un salame, fatto da un amico, che stava invecchiando nella sua cantina, insieme a un vasetto di peperoni marinati al Barolo. Le stelle erano incredibilmente luminose in quella fredda e chiara notte invernale. È stata una cena perfetta.


Il Barolo Chinato era una delle passioni di Beppe Rinaldi. Questa etichetta disegnata a mano (al centro) è racchiusa tra due pintoni da 1,9 litri del raro Barolo Riserva, fatto da uve Brunate in purezza

RIP, Citrico, e grazie per i ricordi.

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